di: Armando Michel Patacchiola
La speranza di vita a Rieti è la più bassa del Lazio e di tutto il centro Italia. E’ quanto stabilito dall’Osservatorio sulla Salute nelle Regioni Italiane. Dati allarmanti quelli sul nostro capoluogo, ritenuto il settimo con meno aspettative di vita alla nascita dietro a Ogliastra (81,577) anni di vita, Nuoro (81,715,) Siracusa (81,400 ) e Caltanissetta (81,133) Caserta (80,658) e Napoli (80,683) Vercelli (81,707).
Come detto, Rieti con un coefficiente di (81,781) anni di vita media, è il settimo d’Italia.
Le Province più longeve dello Stivale sono quelle di Firenze (84,1) anni di aspettativa di vita, 1,3 anni in più della media nazionale (82.8), seguite da Monza e Treviso, con poco più di un anno di vantaggio su un italiano medio. Poco al di sotto della media, fatta eccezione per Roma i numeri del Lazio: con una media regionale di 82,654 anni. Viterbo con (82,100) i coefficiente è la seconda città peggiore del Lazio dopo Frosinone (82,148), Latina (82,606) e Roma (82,926).
Nelle città a confine di Rieti va bene a Terni (82,803) e a L’Aquila (82.466).
Come spiega il report di undici pagine stilato dall’ ‘Università del Sacro Cuore’ “La Campania, la Sicilia, la Sardegna, il Lazio, il Piemonte e il Friuli presentano valori elevati di mortalità prematura. Un dato, si sottolinea “molto negativo, visto che si tratta di morti evitabili con idonee politiche di prevenzione”.
Lo studio sottolinea inoltre come “i divari sociali di sopravvivenza, in Italia, un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate”
I divari di sono “legati allo status sociale, poiché i fattori economici e culturali influenzano direttamente gli stili di vita e condizionano la salute delle future generazioni”. “Un tipico esempio – si legge – è rappresentato dall’obesità, uno dei più importanti fattori di rischio per la salute futura, la quale interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti”
Ad incidere sarebbe anche il livello di istruzione della madre: “il 30% dei figli è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata”.
Quello che più dovrebbe interessare la politica, soprattutto in periodo di pianificazione elettorale, rappresenta quanto illustrato sulla difficoltà di accesso alle cure sanitarie. Si tratta di “un problema particolarmente grave perché impatta molto sulla capacità di prevenire la malattia, o sulla tempestività della sua diagnosi”.
In Italia “nella classe di età 45-64 anni le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria è pari al 12% tra coloro che hanno completato la scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati. La rinuncia per motivi economici tra le persone con livello di studio basso è pari al 69%, mentre tra i laureati tale quota si ferma al 34%.” Ad incidere inoltre le file d’attesa. “Si tratta di un tema per il quale non si riesce a trovare una soluzione soddisfacente, l’opinione dell’Osservatorio è che occorra mettere in rete tutte le strutture, ospedaliere e territoriali, e governare centralmente gli accessi in base all’appropriatezza degli interventi e all’urgenza degli stessi”.
Sul come risolverlo l’Osservatorio ha un opinione precisa: ossia che la politica si debba far carico di questa problematica “Poiché i persistenti divari sociali che lo caratterizzano potrebbero far vacillare il principio di solidarietà che ispira il nostro welfare, contrapponendo gli interesse delle fasce di popolazione insofferenti per la crescente pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli che sperimentano peggiori condizioni di salute e difficoltà di accesso alle cure pubbliche. Per questi motivi sarebbe auspicabile rivedere i criteri di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria e di accesso alle cure e intensificare gli sforzi per combattere l’elevata evasione fiscale che attanaglia il nostro Paese e mina la sostenibilità dell’intero sistema di welfare state”.
“E’ opportuno, infine, sottolineare che, pur con le problematiche rappresentate, il Servizio sanitario nazionale resta una dei migliori in Europa in termini di efficacia, nonostante le risorse impegnate siano tra le più basse registrate nell’Ue. Pertanto è necessario attuare tutti gli sforzi necessari per preservare il nostro Servizio sanitario e renderlo più equo e sostenibile”.
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