di Martina Nucci
Si dice che l’unico modo per guardare al futuro è, in un certo senso, tener conto del passato. Rispettare ciò che è accaduto, pagina indelebile del libro della vita, accettarlo, è l’unica chiave d’accesso che consente all’uomo di guardare avanti, facendo tesoro delle esperienze, anche quelle più negative. D’altronde, ciò che non uccide fortifica, è sempre una sorta di lezione e fonte di arricchimento. Ma soprattutto il passato è parte della nostra identità, senza la quale non avremmo mai modo di essere ciò che siamo ora. È ciò da cui si parte – o si riparte –, l’inizio, o il proseguo, di un cammino.
Cantalice è un paese che odora di passato. Di storia, millenni di storia. Ogni pietra del borgo medievale ne è intrisa, sospeso sulle chiese austere e silenziose degli anni mille, incastonato fra i resti delle mura del castello, della torre erosa dal tempo. Cantalice vi è immerso – il passato sbuca fuori da ogni angolo. È un paese per certi versi antico. La prevedibile domanda che allora ci si pone è: come può il nuovo connettervisi senza danneggiare ciò che è stato? Senza soffocarlo?
Per l’appunto, il primo passo sarebbe quello di riconoscerlo e rispettarlo, così da poter creare un collegamento solido. Si tratta pur sempre delle proprie radici. Della propria identità. Il territorio narra ciò chi siamo; solo conoscendo, comprendendo e rispettando la zona dove cresciamo, sapremo in parte chi noi siamo.
A dispetto di ciò, i numerosi secoli di sudore, di lotte, sangue, di conquiste sofferte che si sono succeduti, sembrano non essere nemmeno compresi, dal nuovo. C’è un divario che pare incolmabile tra le nuove e le vecchie generazioni, le seconde sembrano non riuscire a comprendere sempre le prime, e quest’ultime sfogano la suddetta incomprensione distaccandosi dal vecchio. Diverbi, discussioni, fino a sfociare nella vera e propria mancanza di rispetto nei confronti delle istituzioni e dei monumenti storici, marchiandoli o danneggiandoli col distaccato menefreghismo di chi non percepisce alcun tipo di legame emotivo con ciò che va irrimediabilmente a rovinare.
Mi sono chiesta da cosa derivasse questa noncuranza da parte delle nuove generazioni espressa da questi atti di vandalismo nei riguardi dell’ambiente in cui vivono, andando a calpestare quelle che, come già reso noto, rappresentano anche le loro radici.
“Principalmente a favorire atti di questo genere è la noia,” afferma il Sindaco Silvia Boccini, assessore ai servizi sociali fino al 2014, la quale mi ha accolta con grande disponibilità nel suo ufficio assieme a Isabella D’Attilia, Consigliere comunale con delega ai servizi sociali, e Chiara Innocenzi, Presidente del Consiglio comunale.
Ci fa notare il come la base sia endemica, appartenente alla fase adolescenziale, quella caratterizzata dalla ribellione. Da parte delle vecchie generazioni, è difficile, laddove si provi a stabilire un punto di contatto, riuscire ad ottenere il passe-partout per l’accesso al mondo dei più giovani. Il Sindaco a supporto di ciò riporta un aneddoto durante il quale si tentò di organizzare un concerto incentrato sulle nuove correnti musicali più in voga in quella fascia di età, il quale sfortunatamente raccolse poche adesioni. “I ragazzi lo percepiscono un po’ come l’adulto che cerca di entrare in una realtà che è soltanto loro” ribadisce.
E allora quale è il metodo più indicato per coinvolgerli?
Anzitutto il Sindaco ci tiene a spiegarci che il loro intento è quello di farsi strada nella vita dei giovani ancor prima che possano manifestarsi possibili devianze. “Abbiamo ideato, assieme al professor Giuseppe Godino (Psicologo e Psicoterapeuta, Responsabile Organizzazione e docente presso l’I.R.E.P (Istituto Ricerche Europee in Psicoterapia Psicoanalitica – ndA), un progetto che si occupa della prevenzione del disagio giovanile, analizzando un po’ quali sono gli interessi di questa realtà. Quello che va per la maggiore a Cantalice, in particolar modo per i ragazzi, è il calcio, e quindi siamo intervenuti lì.” E per intervento si premura di precisare il come non sia, ovviamente, diretto, bensì mediato attraverso figure di riferimento quali allenatori, formatori e dirigenti. “Quello che tentiamo di fare”, incalza, “è di fornire quegli strumenti ai formatori in modo che si possano occupare in maniera sana dei ragazzi,” di conseguenza sta ai sopracitati individuare, attraverso allenamenti e partite, “quei piccoli segnali che possono essere sintomo di, non necessariamente una devianza, ma comunque di un problema. Si pensi, ad esempio, agli indicatori in rispetto al rapporto con il corpo: il come il ragazzo si relaziona con la palla, o con la squadra stessa… tutto ciò può rivelarsi un campanello d’allarme in base al quale intervenire – “sempre virgolettato”, ci tiene a specificare, “non parliamo della parte patologica” – con dei piccoli correttivi.”
“La Polisportiva”, prende parola il Consigliere D’Attilia, “accoglie un numero elevato di bambini, e il fatto che questi ultimi si ritrovino a trascorrere il tempo a giocare nel campo equivale al non spenderlo in mezzo alla strada, fondamentalmente. Ma al di là di questo aspetto, che è di per sé positivo, lo scopo primario rimane quello di educare: gli allenatori insegnano ai ragazzini il rispetto delle regole, cosa che porta i giovani ad assimilare dei valori. Oltre a ciò, la presenza di una figura elevata come quella del professor Godino permette di individuare il disagio ancor prima che si palesi agli occhi degli altri, e quindi di intervenire con largo anticipo.”
Insomma, un progetto sperimentale che però sta riscontrando un discreto successo. “Poi se di dieci riusciamo a salvarne tre è comunque è un passo avanti.”
Quindi affrontarli a muso duro non è di certo la soluzione migliore. “Io non credo assolutamente nella repressione,” asserisce il Sindaco, “essendo rimasta a Cesare Beccaria per me c’è la rieducazione della pena, ergo non si reagisce a violenza con altra violenza.” Ovviamente ci sono casi in cui purtroppo è necessario un intervento di tipo istituzionale, tuttavia prima di arrivarvi c’è la premura di effettuare diverse azioni di recupero.
Ad ogni modo, lo sport si dimostra quindi un valido espediente per invogliare il ragazzo e coniugare il divertimento con la possibilità di tenerlo sotto controllo. Ma ci sono altre strategie che è possibile adottare?
“Un altro progetto di tipo sperimentale è il Programma P.I.P.P.I. (Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione, ndA), già in una fase avanzata: noi entriamo all’interno della scuola e delle famiglie con un’equipe specializzata, nella quale riscontriamo l’assistente sociale, lo psicologo, l’educatore domiciliare e il logopedista, laddove ce ne fosse bisogno.”
La linea di azione rimane sempre la medesima: coinvolgere ed integrare il gruppo, nonché preservare, anzi, promuovere le interazioni fra i suoi membri. Ad esempio, far cimentare gli alunni in un gioco di cui loro stessi stabiliscono le regole – “forniamo loro degli strumenti per autoregolamentarsi.” In quest’ultimo, il ragazzino attenzionato non viene messo in rilievo ed è parte attiva esattamente come i suoi compagni, cosa che consente di analizzarne il tipo di interazione che ha con i suddetti, “coinvolgendo allo stesso tempo anche quello che è insomma un problema. Dopodiché si agisce in famiglia attraverso l’educatore familiare, vale a dire il tramite che ha il compito, poi, di riferire all’equipe il disagio in questione, oltre a quello di tentare di restituire, all’interno del nucleo familiare, le regole base che devono essere rispettate.”
In tutto ciò sorge spontaneo chiedersi il come il progetto venga recepito dai genitori coinvolti.
“Ci sono le famiglie che comprendono la situazione e si dimostrano disposte a collaborare, altre che, al contrario, necessitano inizialmente di diversi colloqui con l’assistente sociale del comune – anche lui mediatore –, e altre ancora che vengono persuase nel momento in cui le si mette di fronte alla possibilità che, perpetrare in determinati comportamenti, porterà all’inevitabile esito della rimozione dei figli dal nucleo familiare – che poi purtroppo è l’evoluzione delle famiglie squilibrate, essendoci di mezzo minori. Quella del dialogo è una strategia messa a punto per i casi in cui non sono presenti abusi e/o violenze; insomma, dove le situazioni sono recuperabili. Ma in ogni caso si interviene sempre per ripristinare quell’equilibrio che è un equilibrio naturale, poi.”
Ma questo non è l’unico progetto in grado di coinvolgere tutta la famiglia: entrando più nello specifico nell’ambito delle scuole medie, a fornire un ruolo importante è lo sportello psicologico, aperto sia ai ragazzini che ai genitori. “All’inizio”, premette il Sindaco, “c’è stata una sorta di muro, dovuto sfortunatamente al classico preconcetto che ricalca lo psicologo come la figura che si occupa della cura dei matti, tuttavia col tempo è stata abbattuta la diffidenza iniziale in favore della scelta di concedere una possibilità a questa iniziativa, malgrado venga fatto di nascosto. Della serie: quello che accade in casa rimane dentro casa. Cantalice in questo è molto chiuso.”
Comunque sia, alla luce del sole o meno, l’importante è che ci sia stato un riscontro positivo. Il Sindaco assicura che il ragazzo vada di sua sponte allo sportello, previo ovviamente consenso del genitore tramite la firma della liberatoria. Il motivo dell’esclusione dei ragazzini più piccoli appare lampante: è intorno agli undici/dodici anni che si assiste al mutamento della percezione del proprio corpo, entrando di fatto nella fase della preadolescenza. Pertanto, la presenza di un supporto psicologico è in grado garantire una sorta di appiglio sicuro e solido nel mutevole caos che sarà poi la coscienza interna del giovane, smarrito a causa dei cambiamenti. Una sorta di punto di riferimento, di comprensione, con la quale sfogarsi, laddove si cominci a percepire distanti anche le figure genitoriali.
Malauguratamente, una sua assenza può condurre, in determinate circostanze, a colmare quel vuoto con un suo surrogato di gran lunga più dannoso, senza contare l’insidia della dipendenza che si cela al suo interno. In questo però il Sindaco ci tiene a specificare il come la situazione rimanga sotto controllo. “Siamo in pochi, non siamo immuni, quindi sono presenti problemi relativi all’abuso di alcol e droghe – fortunatamente – leggere. Si tratta, in ogni caso, di situazioni circoscritte, nelle quali conosciamo l’identità dei soggetti in questione.” Fa presente il come per l’ente l’intervento sul minore sia difficile, “richiede sempre la collaborazione dei genitori, e, non di rado, il consumo di alcol da parte del figlio è accompagnato da una situazione familiare particolare.” In pratica, si tratta di un fenomeno strettamente collegato. Senza contare che l’amministrazione è impossibilitata a muoversi in completa autonomia, bensì soltanto in seguito a una segnalazione. E allora come si interviene?
“Quello che si cerca di fare è di procedere nelle retrovie, vale a dire senza utilizzare i canali ufficiali, i quali verranno messi in moto solo successivamente. Si tenta, anche qui, di intercettare le famiglie,” e a tal proposito fa presente il come l’ausilio di figure quali il parroco o il medico di base sia provvidenziale: avendo più margine di movimento, riescono ad arrivare fin dove agli enti è precluso l’accesso, cosa che consente loro di poter poi informare i secondi. È una soluzione che ben si presta a una realtà piccola come quella di Cantalice.
In definitiva, linee di azione per intercettare e prevenire eventuali devianze giovanili non mancano, nemmeno sul versante musicale, mi informa, grazie alla partecipazione della banda di Cantalice, o tramite un piano prettamente artistico, dato che, per merito del Gruppo Jobel di Torricella in Sabina, vi è l’opportunità di coinvolgere la sfera emotiva e più intima dell’individuo e stabilire così un legame col suddetto. Perché questo fa l’arte, di qualsiasi tipo, genera connessioni.
Sempre per quanto riguarda lo sport, in concomitanza col calcio per le ragazze è presente la possibilità di praticare vari tipi di danza, dalla classica all’hip hop – “Questa è una società maschilista” ci scherza su lei.
Tutte le associazioni del luogo risultano quindi coinvolte, come ad esempio il Moto Club TerreMoto.
Ponendola più su un piano prettamente economico, le risorse per i succitati progetti vengono fornite dalla possibilità di partecipare ai bandi regionali, attraverso i quali si ha modo di ottenere i fondi necessari per finanziarli. Sfortunatamente, causa emergenza Covid-19, quest’anno non è stato possibile, ma il Sindaco assicura che si rimedierà per il prossimo.
“Il sociale ha un costo, un costo senza ritorno – non immediato, perlomeno: l’amministrazione spende e basta, tuttavia facendo prevenzione si ha la possibilità di abbattere le spese. Si pensi che mantenere un minore in struttura ha un costo che si aggira attorno ai 140€ al giorno; se io intervengo prevenendo significa che l’ente, tra cinque anni, avrà risparmiato 140€ al giorno. Questo se lo si vuole vedere in termini puramente asettici e ragionieristici, e non quelli più “alti”, etici, che poi sono quelli in base ai quali si agisce.”
E per quanto riguarda i ragazzi che superano l’età scolare?
“Quelli purtroppo fanno parte della fascia che è difficile intercettare, senza contare che Cantalice dista a quindici minuti da Rieti, di conseguenza buona parte si ritrova a passare i pomeriggi lì, e c’è il rischio di perderli se non li tieni legati con la Polisportiva. Però poi c’è da dire che col tempo ritornano sempre,” assicura, “basti pensare al fatto che l’Atletico Cantalice è composto da tutti cantaliciani.”
Insomma, per quanto si possa andare lontano, alla fine si torna sempre alle proprie radici, anche solo col pensiero. Si porteranno sempre dietro, e resteranno sempre a far parte di noi.
Le iniziative rese note dal Sindaco di Cantalice ci dimostrano che è possibile, se lo si vuole, riuscire infine a far comunicare le vecchie generazioni con le nuove, e a far sì che magari, grazie a tale legame, il nuovo impari a rispettare il vecchio – e di conseguenza anche un po’ se stesso, ripartendo proprio da lui.
È un processo lento, difficoltoso, che richiede pazienza, dedizione e anche una buona dose di costanza e sopportazione. Ma si può praticare.
Guardare al futuro con un occhio al passato, sempre. È l’unico modo per progredire, sia come civiltà che come, soprattutto, esseri umani.
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