“Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio”. Le ultime parole della prima lettera di Giovanni riassumono il senso di questo scritto della fine del I secolo dell’era cristiana. Quel che colpisce è che l’autore, chiunque egli sia, si accredita come un testimone oculare della vicenda di Gesù di Nazareth. Proprio questa conoscenza di prima mano permette di conoscere il vero Dio che “è luce, è giusto, è amore”. Si capisce, dunque, che per comprendere Dio e, per esteso, anche la nostra realtà, non abbiamo altra strada che quella del Verbo incarnato. Solo attraverso Gesù Cristo ci è dato di comprendere profondamente la vita, Dio, noi stessi (GS 22).Se prendessimo sul serio questa persuasione dovremmo rivedere il nostro modo di guardare all’esistenza e ripartire da quella particolare intelligenza che nasce dal Cristo, senza di cui tutto diventa indecifrabile. Chi potrebbe comprendere quello che sta accadendo nel mondo senza la sua luce? E senza la sua giustizia? E senza il suo amore?
Di fatto senza la luce di Cristo si resta al buio di interpretazioni paganeggianti. Alla fine di un anno ci si affida al nuovo e alla dea bendata dalla fortuna perché ci sia clemente e si moltiplicano i gesti scaramantici e i rituali più curiosi. Ma che senso ha questa forma di affidarsi ad una realtà superiore percepita come nemica ed avversaria del nostro destino? Fuori dall’intelligenza di Cristo si rischia di essere sotto una dea bendata. I più giovani parlano di essere fortunati o sfortunati con una colorita espressione. Può bastare una simile ipotesi, irrazionale e priva di qualsiasi plausibilità?
Se poi manca la giustizia che è Dio si rischia di abbandonarsi ai vincenti di turno che non sono né meglio ne’ peggio degli altri. C’è un famoso detto di Agostino riportato in auge da Benedetto XVI nella sua prima Enciclica che dice sotto forma di domanda:” negata la giustizia, che cosa sarebbero gli stati se non grandi bande di ladri?”. Il giudizio di Agostino prende spunto da un episodio abbastanza curioso presente nel De Civitate Dei, dove sono attori l’imperatore Alessandro il Grande e un pirata da lui catturato in mare. Richiesto da Alessandro di spiegare per che cosa infestasse il mare, il pirata risponde con franchezza: ” per la stessa ragione per la quale tu infesti la terra: solo che avendo io a disposizione un piccolo naviglio mi chiamano pirata, mentre tu che ti avvali di una grande flotta sei chiamato imperatore”. Agostino lascia così intendere che tra un grande impero che sottomette interi popoli e depreda le loro ricchezze e una piccola banda di ladri non vi è differenza, se non di quantità. Perché nell’una è nell’altra manca la qualità che è la giustizia verso gli altri. Ciò fa comprendere che senza il riferimento alla giustizia anche la politica perde legittimità. Dietro l’intuizione del grande filosofo cristiano c’è un capovolgimento copernicano. Non è la politica che decide la giustizia, ma al contrario è la giustizia che decide della politica. Se scendiamo dall’alto di tali principi alla realtà molte domande restano inevase anche sul nostro territorio. Ad esempio, l’altro giorno passeggiando per un momento al tepore del sole nell’anello del Terminillo sono stato catturato da uno splendido centro sportivo in zona Cinque Confini, quasi ultimato egià abbandonato. Quanto è costato? E perché è rimasto così? E non si potrebbe valorizzarlo in qualche modo? La giustizia non reclama forse una risposta o,più probabilmente, una scelta, piuttosto che concludere malinconicamente che si tratti dell’ennesima cattedrale nel deserto? Per evitare questo scoramento, sicuramente un atteggiamento va rimosso: l’indifferenza che anestetizza,come suggerisce papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace. Lontani dall’intelligenza di Cristo ci riduciamo a spettatori passivi del mondo, tutt’al più brontoloni, incapaci però di assumerci le responsabilità che sono sul nostro capo.
Se manca, infine, l’amore che viene da Cristo diventa incomprensibile tutto. Senza i suoi occhi pazienti, teneri, appassionati il rischio è di abbandonare la nave alla deriva, ‘novelli Schettino’. E pensare di salvarsi in privato ritagliandosi uno spazio incontaminato, lontano dal frastuono e dalla dimensione pubblica. Ma proprio questo impigrirsi nel piccolo finisce per essere la forma più efficace di collusione perché il male e il degrado sopravanzino. L’intelligenza di Cristo sa trasformare anche la più compromessa delle situazioni in un nuovo inizio. E non si arresta mai neanche di fronte alla morte perché l’amore è più forte della morte e lascia intuire che non sia possibile la resa a questo esito distruttivo.
Alla fine di un anno e all’inizio di un nuovo anno ci è necessario recuperare questo sguardo magnanimo e aperto se non si vuol soccombere alla semplice analisi sconfortante di ‘un paese in letargo’, che non sa far fruttare i propri talenti che tiene ammassati sotto il materasso. Così almeno lascia intendere l’ultimo rapporto del CENSIS che descrive un situazione sociale allo stallo, nonostante ci siano molte risorse che non si vogliono investire e malgrado specie tra i giovani si stia provando a reagire con una ricca serie di iniziative nel campo dell’agricoltura, della ristorazione, della cultura e della spiritualità. Che non sia anche per il nostro territorio la strada da percorrere insieme per il prossimo anno?Senza cedere alla rassegnazione, pur consapevoli di quanto ancora c’è da cambiare, e guardando al nuovo anno che inizia domani come suggerisce il poeta Pablo Neruda:
“Eppure,
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire, a sperare”.
L’intelligenza che nasce da Cristo ci è necessaria prima e al di sopra di ogni altra forma di analisi e di impegno. Siamo qui per ritrovarla, per riscoprirla, per impetrarla nell’adorazione che precederà il canto del Te Deum. E ci sembra molto più concreta e efficace che lasciarsi sopraffare dalla superstizione, dalla indifferenza o dal cinismo.Che il Signore faccia risplendere su di noi il suo volto e ci benedica.Come ci capita di comprendere guardando al Bambino Gesù. Trovano cosi conferma le parole della prima lettera di Giovanni: “E noi siamo nel vero Dio, nel Figlio su Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna”.
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