OMELIA DI MONS. POMPILI PER IL MANDATO AI CATECHISTI

Ott 26, 2015 | Altre Notizie | 0 commenti

Il testo è come incorniciato dalla menzione del cieco che all’inizio “sedeva lungo la strada” e alla fine “lo seguiva lungo la strada”. Se nel primo caso c’è una sensazione di immobilità, nel secondo invece si percepisce un’azione che continua e si prolunga nel tempo. Il contesto della scena è quello in cui Gesù si è appena lamentato della durezza di cuore dei suoi che “hanno occhi e non vedono” (8,8). Si intuisce così che la guarigione acquista la forza di un simbolo: qui è la fede dei discepoli che è in gioco. La fede che oggi è in crisi, quella per cui Dio scompare dall’orizzonte dell’umanità, è anzitutto quella di noi discepoli, i cui occhi sono incapaci di riconoscerne la presenza nella storia. Immaginare la vicenda raccontata da Marco nel suo stile asciutto e concreto ci aiuta a riscoprire tre situazioni che fanno emergere l’io del catechista rispetto alla fede che si intende comunicare.

La prima è il grido che si leva in mezzo alla folla anonima che fa ressa attorno a Gesù. A differenza di tutti gli altri solo il cieco ha un nome ben preciso: Bartimeo (“figlio di Timeo”). Di lui si dice che se ne sta immobile mentre gli altri camminano e poiché non lavora è costretto a chiedere l’elemosina. La cecità però gli affina l’orecchio e appena avverte la presenza di Gesù si mette a gridare ad alta voce: ”Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. C’è subito chi lo invita a tacere infastidito dal tono, ma anche dal pericolo che un tale appellativo possa procurare fastidi al Maestro nell’imminenza della pasqua. Sta di fatto che Bartimeo non si lascia scoraggiare, anzi grida ancora più forte.
Nonostante secoli di cultura del sospetto intorno alla fede come proiezione dei nostri bisogni, resta il fatto che l’uomo esce allo scoperto come Bartimeo solo quando è costretto a gridare. In condizioni normali siamo risucchiati dal conformismo e dal bon ton, ma quando siamo in una condizione di assoluta necessità l’io si ribella ed esce allo scoperto. Costi quel che costi. Sì, la fede nasce, ieri come oggi, da un grido. Come la vita a pensarci che nasce dal grido del bambino appena nato. Anche la fede nasce da un bisogno, talvolta persino dalla paura. Finché in noi preserviamo il grido, la speranza non è morta. Il grido e non la rabbia, cioè il riconoscimento del nostro limite, della nostra inconsistenza, della nostra fragilità, è ciò che può far nascere il desiderio, la tensione verso l’inedito, l’apertura al nuovo nella nostra vita.

La seconda situazione è la fiducia. Stranamente il Maestro non chiama direttamente il cieco, ma lo manda a chiamare dai suoi. Ci saremmo aspettati che fosse lui a rivolgersi a Bartimeo e invece dice ai suoi: ”Chiamatelo”. Agli stessi per giunta che fino a poco prima lo stavano rimproverando perché tacesse. Di fatto si accostano e gli dicono:”Coraggio! Alzati, ti chiama”.
La caduta della fiducia nei nostri simili è una constatazione persino ovvia. Proprio la fiducia reciproca che oggi è in caduta libera spiega il regredire della fede. C’è un sottile legame tra la caduta di fiducia e la crisi della fede. Sarà per questo che il Maestro passa attraverso i suoi che quasi costringe ad entrare in contatto con il mendicante, la cui reazione è immediata: “gettato il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Per un povero il mantello era un po’ la sua ‘casa ambulante’ come capita di vedere tra i barboni alla stazione Termini. Sembrano cianfrusaglie, ma tutto, a ben guardare, ha una meticolosa forma di ordine. Eppure il cieco lascia indietro tutto e salta in piedi.
La fede provoca un balzo, cioè fa saltare le garanzie che ci siamo costruite addosso o anche fa attraversare le ferite e le delusioni che hanno segnato la nostra vita, soprattutto nelle relazioni personali. E’ un protendersi senza le certezze di sempre, lasciandosi guidare solo dalla vibrazioni captate nell’aria, magari dalle testimonianza di una persona che abbiamo incontrato.

L’ultima situazione è la consapevolezza di essere sempre in via. Colpisce in particolare l’invito del Maestro rivolto al cieco che finalmente ci vede: ”Va, la tua fede ti ha salvato”. Bartimeo ormai è libero di muoversi e di andare.
La fede è una via prima che una dottrina o semplicemente un’idea, che si impara camminando dietro al Maestro, lasciandosi ispirare dalla sua esistenza.
La fede ci sottrae, infatti, alla presa di un mondo piatto, senza sporgenze, e riapre le finestre dell’assoluto che si agita dentro di noi.
La fede, inoltre, ci offre una conoscenza che è integrale, cioè non solo tecnica, ma sapienziale, cioè in grado di farci assaporare il gusto originario delle cose.
La fede, infine, non censura alcuna domanda. Neanche quella estrema sulla morte, ma la attraversa fino in fondo, smascherando la società post-mortale.

La fede, come del resto Bartimeo, è però sempre in cammino. Esattamente come “la donna incinta e la partoriente” di cui parla Geremia nella prima pagina. Sembrerebbe impossibile per chi aspetta un bambino affrontare un grande viaggio. Eppure la profezia lascia intendere che è possibile. Perché “chi semina nel pianto raccoglie nella gioia”. Non potrebbe esserci definizione sintetica più efficace del ministero del catechista. E’ come una donna incinta, anzi gravida, che tra fatiche e difficoltà cammina e porta alla luce il bambino. Così è di chi, come voi, perde tempo, si affatica, si spende per far crescere la fede tra i bambini e i ragazzi. E’ questo camminare insieme che manda avanti la vita. E suscita speranza. Oggi più che mai in un tempo di deserto e di isolamento.
Siate sicuri di una cosa: Dio che sempre educa il suo popolo ci accompagna prima e più di quello che immaginiamo e talora percepiamo. Lui ci precede sempre.

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