LE RIFLESSIONI DI FRANCO PROIETTI SULL’ESITO DEL REFERENDUM

Dic 29, 2016 | Altre Notizie | 0 commenti

Il popolo italiano ha colto l’occasione della tornata referendaria per dimostrare la sua maturità politica. Resosi conto che si stava chiedendo il suo parere su una proposta di modifica di 47 dei 139 articoli della Carta Costituzionale ha capito che questa volta in ballo non c’erano solo parziali aggiustamenti ma modifiche sostanziali che potevano mettere in discussione cose ben più corpose. Consapevole di ciò ha messo da parte le sue critiche nei confronti della politica e dei suoi attori e ha deciso di recarsi numeroso alle urne facendo registrare una salutare inversione di tendenza rispetto alle forti diserzioni registratasi nelle precedenti tornate elettorali amministrative e regionali. Diserzioni che hanno espresso tutta l’insofferenza accumulata dai cittadini nei confronti di un personale politico ritenuto, più a ragione che a torto, incapace di garantire una buona e corretta gestione della cosa pubblica. Se è vero che non si può attribuire alla sostanziosa partecipazione degli elettori in occasione di questo referendum una valenza tale da cancellare l’insofferenza dei cittadini verso la politica e i suoi attori è però ragionevole pensare che con essa abbiano voluto segnalare, proprio alla politica, il loro forte senso di responsabilità e di attaccamento all’atto costitutivo della repubblica democratica e insieme ad esso l’impegno a difendere da qualsiasi insidia paventata le istituzioni rappresentative.
Nei lunghi mesi che hanno preceduto il voto tutti hanno cercato di capire cosa c’era di buono in quella proposta e ciò che non era convincente o sbagliato, chi erano i proponenti e perché l’hanno voluta e difesa con tanta insistenza, chi erano i contrari e quali i motivi della loro avversione, quale l’iter parlamentare che aveva portato quella proposta al giudizio degli elettori, quali le conseguenze positive o negative se avesse vinto il si o il no. È sulla base di queste riflessioni che si è scelto di deporre nell’urna la scheda con una croce sul si o sul no. Aperte le urne è subito emerso chiaro che gli elettori, con una larga maggioranza che comprende anche coloro che non sono stati in grado di cogliere fino in fondo le implicazioni positive o negative dell’eventuale entrata in vigore di quella riforma, hanno preferito stopparla ritenendo saggio evitare il rischio di modificare parti sostanziose di uno sperimentato condensato di saggezza, lungimiranza ed equilibrio messo insieme dai padri costituenti che ha consentito di: orientare il proficuo percorso di ricostruzione materiale e morale in un paese oppresso dalla ventennale dittatura fascista e distrutto dalla guerra; recuperare alla nazione italiana il perduto ruolo di prestigio nella scena europea e mondiale; garantire al suo popolo, pur dovendo scontare momenti di grandi avanzamenti con altri di stridenti frenate e ripiegamenti, un settantennio di pace e di progresso nella libertà.
Evidentemente quel voto doveva servire soltanto a giudicare il merito della riforma ma, come è noto, si è voluto caricare anche di un più generale giudizio politico sul governo Renzi e, la inequivocabile bocciatura sancita da quel 60% di no non ha fatto altro che decretarne la inevitabile crisi. Quei no sono l’espressione di tante cose a cominciare da un giudizio di merito sui contenuti di quella proposta voluta e fatta approvare con tanta insistenza e non poche forzature da una risicata e travagliata maggioranza ma esprime anche un netto e severo giudizio critico: nei confronti del Presidente del Consiglio Renzi che ha voluto caricare di questo significato il voto quando disse che, se non fosse riuscito a far approvare quella riforma si sarebbe dimesso non soltanto dal governo ma, dalla politica; dell’imperversante renzismo diffuso dai suoi pretoriani che, con sufficienza, hanno respinto le diverse osservazioni critiche considerandole suggerite da gufismo e rosiconismo; sull’opera svolta in questi mille giorni dal suo governo dimostratasi inefficace e sbagliata ma soprattutto priva di risposte adeguate per superare le acutezze di una lunga crisi dalla quale non si riesce ad uscire e di progetti credibili, indicanti tappe e scadenze da rispettare, che si propongano di incidere sui nodi strutturali di un sistema economico e produttivo che deve essere rigenerato se si vuole dare al paese una concreta possibilità di competere nell’attuale burrascoso mercato globalizzato. Un no espresso con la serena consapevolezza che la conferma di quella Carta non sarebbe stata affatto dannosa e che essa avrebbe consentito, nonostante tutto, di mantenere entro solidi binari, il divenire della democrazia italiana ed il positivo evolversi del suo assetto economica e sociale almeno fino a quando, coloro cui è preposto il compito di migliorarla e ammodernarla, non saranno, animati da quello che fu lo spirito costituente, capaci di formulare una riforma largamente condivisa dal parlamento e mirata a rafforzare il sistema democratico rendendolo sempre più in condizioni di chiedere e ottenere dai cittadini il rispetto delle regole e dei doveri e alle istituzioni pubbliche di assicurare a loro e alle loro famiglie, una vita serena e dignitosa.
Sarebbe sbagliato e fuorviante se quei no venissero considerati l’espressione di un popolo abbarbicato alla conservazione dell’esistente. Non è così. Gli italiani hanno detto no a quella riforma perché l’hanno trovata non adeguata alle necessità di ammodernamento funzionale del sistema ma anche scarsamente sintonica con i principi e i valori contenuti nella Costituzione in essere.
Visti i risultati molti si sono domandati perché Renzi ha voluto cimentarsi in questa prova e la risposta a questa domanda non sembra troppo difficile: imbaldanzito dalla irresistibile e veloce scalata al potere e da quel 40% di voti ottenuti dal suo partito nelle elezioni europee ha cominciato a ritenere che nessuno avrebbe potuto fermarlo se fosse riuscito a riordinare le regole che avrebbero consentito di stabilizzarlo al potere. È in questa ottica che ha prima sfornato leggi che dovevano servire per allargare i consensi anche se venivano presentate quali atti decisivi per garantire la ripresa economica e l’occupazione: sgravi fiscali e riduzione dei diritti dei lavoratori per le imprese; bonus e mance mirate in favore di fasce intermedie della popolazione erose dalla crisi; sgravi fiscali sulle proprietà immobiliari; allentare la morsa sull’uso delle liquidità per favorire i commerci e così via. Convinto di essere riuscito così ad allargare il consenso tra i cittadini ha deciso di mettere mano alla modifica delle regole prima forzando il parlamento ad approvare una nuova legge elettorale (l’italicum) e successivamente sottoponendogli la modifica di ben 47 articoli della Carta Costituzionale.
Per nulla scoraggiati dalle dure opposizioni interne al loro partito e da quelle espresse da un largo schieramento di forze politiche e sociali, hanno creduto fino alla fine di poter riuscire ha strappare l’ennesima vittoria figlia della loro “rottamazione”. Una vittoria affidata alla propaganda sul taglio di un discreto numero di parlamentari e di istituzioni elettive ritenute che erano sostanzialmente certi di cogliere su contenuti quali il taglio di un sostanzioso numero di parlamentari e di enti considerati inutili con la conseguente riduzione dei relativi costi. Con essi si con i quali s’intendevano rispondere al sentimento anti casta diffuso nel paese. Si sono spesi con tutti i mezzi usando ed abusando del loro potere per ottenere quella vittoria che avrebbe dovuto legittimare oggi, con un voto popolare, il potere conseguito per chiamata dal Capo dello Stato dopo un voto di fiducia del parlamento e per fare da apripista ad una ulteriore vittoria domani, in elezioni politiche regolate da una nuova legge che avrebbe dovuto archiviare l’italicum giudicato ormai non più in grado di assicurare quanto desiderato, che avrebbe reso possibile stabilizzare per l’intera legislatura un ruolo di comando al quale si ritenevano destinati e poco disponibili a rinunciare e che, messi in condizioni di poterlo esercitare contenendo inutili lungaggini e marginalizzando fastidiose opposizioni avrebbe potuto metterli in condizioni perseguire con decisione e senza troppi intralci quanto si sono prefisso di fare.
Se a tutto questo si aggiungeva l’annuncio che erano in arrivo insieme a quelli già elargiti bonus per divere categorie doveva sembrargli impossibile perdere ma non avevano fatto i conti con un popolo che era maturato e che sapeva distinguere le cose serie da quelle meno serie e che aveva ormai ben capito il gioco di questi piccoli oligarchi e che bisognava mettersi al riparo di esperienze dolorose già passate dell’uomo solo al comando. effetto dire che si sarebbero ridotti trecento senatori e ridotto i costi della politica
per in favore delle imprese con sgravi fiscali e riduzione dei diritti dei lavoratori, del sistema finanziario e bancario, di fasce del ceto medio urbano con bonus e riduzione delle tasse sul patrimonio, di mance a questa e a quella categoria che servivano per allargare il consenso il popolo lo aveva ormai adottato e che avrebbe potuto perseguire senza ostacoli il suo cammino operare per allargare il consenso confezionando leggi mirate lo hanno convinto che avrebbe dovuto capitalizzare quanto prima quei successi per consolidarsi definitivamente al potere. Ambizioso ma, privo di una precisa visione ideale e politica cui ispirarsi, ha fondamentalmente deciso di affidarsi al pensiero dominante che ha fatto del “mercato”, controllato dalle grandi concentrazioni economiche e finanziarie internazionali in funzione dei loro interessi, una ideologia da imporre in ogni angolo del pianeta. È in ragione di questo orientamento che, in questa fase, si è ritenuto di poter mettere in secondo piano i bisogni del crescente numero di poveri indotto dalla crisi e fare scelte che avrebbero dovuto favorire le imprese, il mondo bancario e finanziario e misure di sostegno verso fasce del ceto medio urbano. Scelte perseguite con decisione facendo non poche forzature e ignorando o marginalizzando quanti osavano opporsi compresi i lavoratori organizzati.
Quelle scelte che, stando alle dichiarazioni dei proponenti avrebbero dovuto favorire la ripresa economica e l’occupazione, non hanno dato i risultati promessi e alcune misure hanno alimentato, anziché ridurre, il divario tra ricchezza e povertà ma quei governanti, incapaci di leggere la realtà per quello che è anziché fermarsi a riflettere per capire dove s’è sbagliato e come apportare correzioni, hanno continuato ad infondere ottimismo raccontando che la crisi è alle spalle, che la ripresa è in atto e che l’occupazione cresce anche se nessuno se ne accorge.
Si è giudicato sbagliate e inefficaci le ricette messe in campo sostenendo che avrebbero favorito la ripresa economica e l’occupazione che ancora non si sono viste soprattutto per ricercare consensi più o meno facili su aree sociali quali il mondo delle imprese, le partite iva, il ceto medio urbano erogando bonus, riduzioni fiscali, i pensionati per rianimare l’economia, per generare nuovi posti di lavoro vendute in prossimità delle elezioni come decisive per sollecitare una ripresa che non s’è vista, altre che toglievano diritti sostenendo che avrebbero generato posti di lavoro che non ci sono stati, altre ancora che avrebbero favorito gli acquisti e con essi la ripresa economica e che invece adottate C’è il convincimento che le ricette praticate in questi ultimi due anni e mezzo si sono dimostrate sbagliate e inefficaci, l’inadeguatezza delle risposte messe in campo per tamponare le incombenti emergenze, la mancanza di progetti credibili e di lungo respiro senza i quali, non soltanto non si esce da una crisi lunga e interminabile ma soprattutto, non si offre alcuna possibilità, ad un paese che è tra i più indebitati al mondo, di favorire quella ripresa dell’economia che potrebbe metterlo nella condizione di competere, con qualche possibilità di farcela, nel burrascoso e difficile mercato globalizzato.

Convinti che la loro lettura della realtà (ottimistica) li avrebbe messi nelle condizioni di completare l’opera di riordino del sistema facendolo coincidere con una sostanziosa stabilizzazione del potere acquisito con chiamata del Capo dello Stato, hanno ritenuto di giocare ancora una volta la carta della “rottamazione” per conseguire una ennesima decisiva e facile vittoria che avrebbe sanato quella chiamata con un massiccio consenso popolare. Si è prima provveduto a varare, con le solite forzature, una legge elettorale (l’italicum) che, secondo i soliti presuntuosi ottimisti, avrebbe consentito di stabilizzare il loro governo per l’intera legislatura eliminando o marginalizzando i soliti gufi o rosiconi e successivamente si è deciso di puntellare

È così che una larga maggioranza di elettori ha costretto alle dimissioni il governo. Renzi ha lasciato la Presidenza del Consiglio ma si è guardato bene dal dare seguito a ciò che aveva detto tenendosi saldamente al comando del suo partito e facendo subito valere quel ruolo per indicare chi avrebbe dovuto sostituirlo al governo e confermare i suoi fedelissimi nel nuovo governo. Stando alla testa del partito democratico, che è anche l’azionista di maggioranza nel governo, gli consente di tenere sotto controllo il quadro politico e, sognando una vittoriosa rivincita da disputarsi prima possibile con una legge elettorale meglio calibrata dell’italicum, preparare il terreno favorevole per conseguirla.
Evidentemente siamo in presenza di un inguaribile ottimista incapace di riconoscere i suoi limiti e soprattutto di capire che gli italiani, compresi i tanti che hanno voluto credere che avesse le qualità giuste per dare la sterzata di cui aveva bisogno il paese, non volevano un uomo solo al comando ma far funzionare il sistema democratico partecipato per affermare una maggiore giustizia sociale.
al sistema bancario e finanziario e sferzante con le proteste delle rappresentanze del mondo del lavoro senza che ha ignorato le reazioni dei sindacati facendo approvare una apposita legge elettorale con un esplicito voto popolare e, non potendosi intestare una ennesima elezione anticipata, ha pensato che un referendum vinto sulla rottamazione di un bel numero dei parlamentari e dei costi della politica, avrebbe completato il suo disegno consentendogli di mettere a frutto quel successo per conseguir un altro alle prossime elezioni regolate dall’italicum per stabilizzarsi definitivamente al governo +++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++
una utile dote d il referendum un risultato da portare in dote per stabilizzarsi definitivamente al governo con una vittoria elettorale alle prossime elezioni regolate dall’italicum.del paese giuntovi senza un voto degli italianilo ha inebriato a tal punto da considerarsi imbattibile e che poteva approfittarne per consolidare il potere acquisito con una vittoria elettorale che avrebbe fatto da apripista per una successiva vittoria elettorale regolata dall’italicum che lo avrebbe definitivamente stabilizzato; ritenersi imbattibile ed ha pensato che la chiave della rottamazione che l’aveva consentita avrebbe continuato a funzionare senza intoppi anche in questa occasione, doveva usarla per consolidare oggi il suo potere e stabilizzarlo definitivamente domani con elezioni regolate dall’italicum insediare al posto di Presidente del nuovo governo e impedendo che i suoi fedelissimi ministri restassero ai loro posti. poi pian piano ridimensionata la dice lunga sul significato che si è voluto attribuire da parte di Renzi, del renzismo dominante nel suo partito e della coalizione che sostiene il suo governo. Si partiva dal convincimento che si doveva rendere più solido il potere di comando per perseguire senza troppi intoppi i risultati voluti e si è prima imposto l’approvazione di una legge elettorale che lo avrebbe reso possibile si voleva completare l’opera riformando la costituzione. Con lena si è predisposto un testo sul quale si è fondamentalmente coartata l’approvazione del parlamento con forzature irriguardose e si è poi chiamato il paese ad esprimersi in quello che si riteneva potesse diventare un consenso plebiscitario da far valere per consolidare la maggioranza ed il potere che avevano nelle mani e per stabilizzarlo domani dopo una vittoria elettorale regolata dall’italicum. La tanto agognata vittoria sarebbe stato facile perseguirla in ragione del sentimento anti casta diffuso nel paese e che aveva dato forza alla rottamazione del loro inizio ma non si erano accorti che il popolo ormai percepiva essere loro la casta e che altri li avevano ormai soppiantati in questa funzione con qualche credibilità in più. consenso cercato di freniÈ in quest’assunto la spiegazione del ruolo decisivo che il renzismo aveva attribuito a questa riforma con la quale si sarebbe chiuso il cerchio rottamatore anti casta che avrebbe definitivamente stabilizzato il ruolo di potere di una piccola oligarchia presuntuosamente baldanzosa e mediocre che riteneva di poter dominare per anni.
La veloce ascesa al potere bruciando le tappe ha evidentemente giocato brutti scherzi alla combriccola toscana che evidentemente, avrà letto ma senza comprenderlo, quanto scritto cinquecento anni fa dal loro illustre concittadino Macchiavelli. Sono andati a testa bassa contro una barriera insormontabile convinti di conseguire una vittoria certa e decisiva per consolidare un potere oggi e favorirne la definitiva stabilizzazione domani dopo la vittoriosa prossima elezione regolata dall’italicum.
Tutto ciò è stato ben chiaro agli italiani spettatori di una campagna elettorale nella quale i dei proponenti man mano che si è espressa in tutta la sua baldanzosa campagna propagandistica dei proponenti protesi a gettare massicce pillole di ottimismo trovando in quella approvare dal parlamento e per sostenerla usando tutto il potere possibile nel propagandare ottimisticamente e senza ritegno i “successi”, non riconosciuti dagli italiani, conseguiti fino ad oggi a partire dal suo insediamento. a piene mani anche perché ne sono stati gli strenui proponenti e sostenitori è anche vero che ha giocato un ruolo non secondario il giudizio che hanno dato della baldanzosa e perseverante insistenza con la quale i proponenti hanno tentato, usando tutto il loro potere, per carpire il loro consensoanche Il tentativo di trasformare il referendum in quella che i proponenti ritenevano essere una quasi scontata vittoria plebiscitaria in grado di sugellare il loro disegno “rottamatore” e gettare le basi di un consolidamento del suo potere oggi per stabilizzarlo definitivamente domani a seguito della supposta prossima vittoriosa tornata elettorale regolata dall’italicum, si è evidentemente infranto in quella valanga di no che hanno bloccato quelle loro velleità malriposte.
La martellante campagna propagandistica nella quale si sono impegnati senza risparmio i vertici delle forze al governo a cominciare dal PD e tutti i ministri con alla testa il Presidente del Consiglio Renzi non ha raggiunto il risultato voluto. Erano così sicuri di carpire il consenso degli elettori che si erano azzardati a promettere che se fossero stati sconfitti avrebbero lasciato non solo i posti di comando ma anche la politica. Hanno dovuto ammettere la sconfitta ma si sono ben guardati dal lasciare le poltrone e tantomeno la politica a cominciare da Renzi che, alle inevitabili dimissioni da Presidente del Consiglio, ha subito voluto ribadire che non ha alcuna intenzione di lasciare il posto di comando nel partito proponendo chi mettere al suo posto e favorendo la conferma della sua squadra alcuni dei quali non hanno neanche avuto l’imbarazzo di perdere la faccia.
Questo referendum è stata l’occasione per capire ancor meglio che alla base della azione perseguita in questi due anni e mezzo dal governo Renzi non c’era alcun serio progetto per ridare un futuro al paese se non quello di muoversi lungo le traiettorie del “pensiero unico” dominante tracciate dal potere finanziario internazionale che orienta il mercato a proprio piacimento e che agisce per avere governi disposti ad assecondarne il realizzarsi. L’unico vero progetto di un renzismo che è sembrato inarrestabile era quello di cavalcare il diffuso sentimento anti casta cresciuto nel paese per i limiti e gli errori della politica e la “rottamazione” lo ha compiutamente incarnato facendone un grimaldello utile per scalzare la vecchia classe dirigente e insediare al potere il loro smanioso giovanilismo. Una volta al potere però i cittadini hanno capito presto che il loro progetto si fermava li e che non hanno tardato ad essere percepiti loro stessi casta peraltro senza un progetto credibile, per fronteggiare le emergenze di una crisi che permane ma anche tale da mettere in moto un nuovo modello sviluppo che metta il paese nella condizione di competere da protagonista nel burrascoso mercato globalizzato. ++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++
capace assolutamente incapace di fronteggiare i veri nodi della crisi che attanaglia il paese e che le concrete scelte del governo sul lavoro, sulla politica fiscale, su quella finanziaria si sono mosse in sintonia con il pensiero unico del mercato mentre alle aspettative di una maggiore giustizia sociale si è risposto promettendo bonus e mance. La rottamazione nel solco della quale si calano le riforme costituzionale ed elettorale erano chiaramente ispirate al realizzarsi di un assetto di potere che avrebbe ridotto le tappe del confronto per raggiungere la meta ed eliminato fastidiose opposizioni al realizzarsi dei propri disegni. concreta azione di governo ha sempre avuto di mira e quel sentimento consentendo successi facendo credere che la e i ritardi della politica che alla base Stanti le reazioni dei perdenti esce confermato che al fondo delle furore le riforme rottamatrici e sostanzialmente “anti casta” perseguite dal governo Renzi non c’era un progetto politico per il futuro del paese sorretto da piattaforma di principi e valori c’era la convinzione che fossero argomenti decisivi per scalzare una classe dirigente e sostituirla totalmente con una cricca di amici di torsione confermando quasi interamente i suoi ministri alcuni dei quali non si sono curati di perdere la faccia al suo posto lasciato vuoto chi avrebbe dovuto sostituirlo il suo sostituto fatto seguire il suo impegno a svolgere le funzioni di segretario del partito azionista di maggioranza del nuovo(vecchio) governo indicando il suo sostituto e confermando quasi tutti i suoi ministri ma soprattutto disponendosi a gestire l’attuale fase con l’intento di imporre al più presto nuove elezioni convinto che quel 40% di voti ottenuti dal si sono la sua nuova base di partenza con la quale una favorevole legge elettorale potrebbe reinsediarlo al potere. Il classico giocatore di poker di potersi giocare una vittoriosa partita di rivincita giocarsi una partita di rivincita. Non soltanto hanno sbagliato treno tutto andando diritti contro un aisberg Quei no hanno segnato una forte battuta d’arresto alla loro forsennata spinta alla rottamazione di tutto e di tutti, costringendo i protagonisti a registrare il proprio fallimento. Erano tanto convinti di incassare la conferma che il loro disegno rottamatore membri del governo e i vertici delle forze aldel si che ha investito gli italiani inondato gli italiani Da ciò la sua strenua difesa nelle piazze italiane schierando l’intera squadra di governo con alla testa il Presidente del Consiglio e, non consapevoli dei loro limiti e di quelli del loro operare ben percepiti dai cittadini, hanno insistito a farlo propagando una ripresa dalla crisi e dei dati sull’aumento dell’occupazione ritenuti dai più pressochè inesistenti e annunciando erogazioni di nuovi bonus, che si aggiungeranno a quelli già in essere, che nessuno apprezza e che, non pochi, considerano mance offensive, mentre hanno continuato a latitare, anche perché incapaci di abbozzare proposte risolutive credibili, sia sui temi scottanti che assillano i cittadini e che incombono sul paese, che sui necessari progetti di lungo respiro che consentirebbero di immaginare d’avvero l’uscita dal tunnel.
La verità e che i proponenti hanno puntato tutto su questo referendum anche per nascondere i loro limiti ma soprattutto perché convinti che, il suo potenziale anti casta, considerandolo una prova decisiva vinta la quale avrebbero visto consolidato la loro maggioranza ed il loro potere oggi per metterlo definitivamente al sicuro domani dopo un ulteriore successo elettorale regolato dall’italicum che avrebbe consentito di ripararlo da “inutili” mediazioni e resistenze mal sopportate. A conti fatti ci sarebbe da domandarsi perché i proponenti erano così convinti di farcela da indurre molti di loro a dichiarare sfrontatamente che se non fossero riusciti a portare a casa quella riforma si sarebbero ritirati dalla politica salvo poi ripensarci perdendo la faccia.
Evidentemente perché non conoscono la realtà del paese, perché non hanno capito che perseguire la politica della rottamazione di tutti e di tutto porta acqua ad altri più credibili se tu difendi un presidente di una regione come De Luca, perché hanno considerato gli italiani un popolo che può essere portato al guinzaglio scoprendo oggi che non è più disposto ad accettare la parabola dell’uomo solo al comando, perché sono una piccola oligarchia inadeguata, presuntuosa e arrogante e oggettivamente mal tollerata.
La loro reazione dopo quella sonora batosta conferma questi giudizi se è vero che tutte le mosse che hanno fatto seguire indicano che non c’è in loro la consapevolezza di cosa hanno voluto dire gli elettori. Dichiarano che quel risultato è un dato da cui partire e che quel 40% deve essere considerato un risultato dal quale ripartire Certo che è stato anche un no a Renzi e al suo governo. Un no per resistere nei confronti della china imboccata dell’uomo solo al comando. +Renzi che con quella proposta di riforma, preceduta dalla legge elettorale appositamente confezionata chiamata “italicum”, ha dimostrato di voler perseguire, in primo luogo, l’obbiettivo di consolidare se stesso al potere ed è in questa chiave che devono essere lette le scelte compiute in questi anni mirate a raccogliere consensi contingenti a buon mercato e in coerenza con

convinti che, nonostante tutto, essa può ancora essere un punto di riferimento utile per la considerano un recinto abbastanza sicuro entro la quale, applicando davvero le indicazioni in essa contenuti, verrebbero sufficientemente protetti e tutelati i suoi bisogni da garantire una vita dignitosa ritenuto mettersi al sicuro entro gli argini dell’esistente nonostante tutto, la ritengono ancora un argine sicuro dentro il quale, se venisse davvero applicata nei suoi contenuti essenziali si vedrebbero protetti e tutelati.
Con quei no, si è giudicato non meritevoli di consenso i contenuti di quella proposta ma si è anche voluto esprimere un chiaro e severo giudizio di censura nei confronti di una maggioranza di governo che ha voluto intestarsene il merito facendo forzature oltre misura per imporla al parlamento e che ha inteso usare tutto il suo potere per di carpirne il consenso agli elettori.
le regole dettate dal pensiero unico dominante evitando di fronteggiare con scelte che nel tamponare le emergenze annunciassero che convinti che non hanno alcun effetto sull’economia senza capire che ormai quelle elemosine non incantano più nessuno e sono dai più considerate offensive per la dignità di un popolo, che solo con la vittoria del si sarebbe potuto porre il paese al riparo da inevitabili catastrofi di chissà quale natura si sarebbero potute verificare qualora avesse prevalso il no. Quei no dicono che il popolo ha mal tollerato tutto ciò. Ha rigettato i tentativi di lusinga dei bonus considerandoli offensivi ed una non risposta ai problemi veri dei cittadini che la dice lunga sulla incapacità di quel governo a dare risposte che, nel fronteggiare le emergenze, avrebbero dovuto gettare le basi per un diverso sviluppo duraturo capace diinadeguata risposta a quelli che sono i nodi veri che stanno immobilizzando il paese Ricatti mal tollerati da un popolo scaltro e sufficientemente consapevole che era in presenza di un governo il quale, sempre più in difficoltà nel trovare le risposte adeguate ad una lunga e duratura crisi, ha pensato di sviare l’attenzione dei cittadini dai problemi veri chiamandolo ad una consultazione su temi valorizzati quella “rottamazione” che fino ad ora aveva garantito una ascesa fulminante al Presidente del Consiglio Renzi. con la quale che avrebbero dovuto valorizzare sua vocazione rottamante crisi che fa sentire i suoi morsi Risposte mal tollerate che confermano l’inadeguatezza progettuale di una classe dirigente che fa difficolta a trovare risposte vere e di lungo respiro con le quali, mentre si tampona le emergenze acuite da una lunga crisi infinita, si gettano le basi per correggere i limiti strutturali di un futuro sviluppo senza il quale sarà sempre più difficile poter essere protagonisti attivi di una Europa unita e solidale ed ancor meno capaci di vincere le sfide imposte da un mercato globalizzato le cui regole sono governate dalle grandi concentrazioni economiche e finanziarie internazionali. Quei no contengono anche l’insofferenza di un popolo nei confronti suoi governanti che avrebbero voluto strumentalizzare il suo consenso per puntellare oggi il loro ruolo di comando e favorire domani il suo allargarsi in ragione di una presunta possibilità di vittoria elettorale regolata dall’italicum, un’altra legge imposta al parlamento con ripetuti voti di fiducia che avrebbe completato il quadro e che avrebbe consentito il definitivo consolidarsi dell’attuale un sistema di potere. Quella legge che oggi sono gli stessi proponenti a voler cambiare perché considerata ormai poco funzionale al disegno che l’aveva ispirata.
S’è detto che questo referendum ha chiaramente indicato chi lo ha perduto ma non chi lo ha vinto ed è vero ma, riflettere su chi e perché lo ha perduto può essere utile per capire a chi affidare domani le sorti del paese e soprattutto capire per chiedergli cosa fare.
È del tutto evidente che Renzi e l’indiscusso perdente insieme al suo “giglio magico” ed essendo anche la componente dominante del PD lo ha direttamente coinvolto nella sonora sconfitta. Una sconfitta che ha lacerato il paese e spaccato verticalmente il partito, maturata per la protervia con la quale si è voluto giocare questa partita convinti di una vittoria a portata di mano attraverso la quale si sarebbe potuto stabilizzare il potere acquisito e domani, dopo elezioni regolate dall’italicum, consolidarlo definitivamente. Si era sicuri di riuscire a vincere trasformando il referendum in un vero e proprio plebiscito pro o contro il Presidente del Consiglio ed il suo governo convinti che la rottamazione di un pezzo delle istituzioni parlamentari e la riduzione dei pochi euro che costava avrebbero avuto l’effetto decisivo per portare gli elettori a regalargli una facile vittoria. Erano tanto convinti che molti di loro, a cominciare dallo stesso Renzi, si sono avventurati nel dichiarare solennemente che una loro eventuale sconfitta li avrebbe portati a ritirarsi dalla politica ma, come è noto, si son ben guardati dal ribadirlo all’indomani dei risultati facendo assistere il paese alla formazione di un nuovo governo nel quale il nuovo Presidente del Consiglio sembra essere ostaggio di ministri scelti dal vecchio Presidente sonoramente sconfitto dagli elettori nel suo disegno riformatore.
Renzi, il partito da lui dominato ed il suo governo sono stati bocciati nel loro progetto di riforma costituzionale, rischiano di essere battuti sui temi della riforma del lavoro ove si fosse chiamati al voto per abrogare il jobs-act le legge che ha cancellato l’articolo 18 ed è presumibile che anche una eventuale convocazione ravvicinate di elezioni politiche, ammesso che si riesca a risolvere presto il garbuglio della mancanza di leggi elettorali che lo consentano, potrebbero anche riservare agli stessi una ulteriore amara sorpresa.
Far tesoro di questa sconfitta per prevenirne altre è il più saggio consiglio che si può dare ad una cordata che rischia di andare a sbattere facendosi davvero male
se davvero se dovessero convocare nuove elezioni referendarie a cominciare da quello suo job-acht elettori hanno trovato in quella proposta di riforma una somma di modifiche della Carrabberciate in tutta fretta che ha la maggioranza che in questo momento avrebbe avuto il bisogno di Lo ha perduto perché il paese ha ben compreso che quella riforma costituzionale non era quella davvero utile e necessaria al paese ma una somma di modifiche imposte e rabberciate in tutta fretta che risultassero capaci di dare una qualche sostanza alla cosiddetta rottamazione. Una proposta di riforma la cui sostanza demagogica, espressa nello stesso testo del quesito sottoposto al voto degli elettori, avrebbe dovuto consentire al popolo di esprimere un consenso plebiscitario che avrebbe dato stabilità al potere conseguito e offerto l’occasione di consolidarlo definitivamente a seguito delle prossime elezioni regolate dall’”italicum”.
Erano così convinti che quel percorso avrebbe consolidato il loro potere da consigliare a molti di loro di spingersi, a cominciare dallo stesso Renzi, a dichiarare che avrebbero lasciato la politica nell’eventualità che quella loro proposta fosse stata bocciata dagli elettori. Dichiarazioni clamorosamente smentite dai comportamenti che li proietta così attaccati al potere da restarvi abbarbicati senza ritegno. Altro che rottamatori questi, sono così attaccati alle poltrone che si batteranno per restarci seduti fino a quando risulteranno cosi logore da essere, esse si, da rottamare.
Sappiamo che questo governo vivacchierà in attesa di quello che verrà dopo le prossime elezioni che nessuno sa quando potranno tenersi e con quale legge elettorale considerato che i primi a voler modificare l’italicum sono proprio coloro che lo hanno imposto al parlamento con non pochi voti di fiducia .
Il risultato di quel voto ha sancito che il popolo tornato copiosamente alla urne ha vinto fermando una proposta di riforma sconfiggendo con il no quella parte che avrebbe voluto riformare consistentemente la Carta senza avvertire il dovere farlo esaltando e non mortificando l’indispensabile spirito costituente che dovrebbe essere sempre tenuto presente quando si mette mano alla legge delle leggi che regola con posi e contrappesi un sistema democratico.

quello che deve senpre essere considerato indispensabile per poterlo fare e che è lo spirito costitutentedi trovare con saggezza lungimiranza e umiltà lo spirito costituente
avrebbero voluto, anche se non sono riusciti a comprendere appieno approvare dei cambiamenti ma hanno respinto quella proposta perché hanno voluto far sentire la loro avversione nei confronti di una proposta che non corrispondeva a ciò che avrebbero voluto contenesse. Una proposta meglio calibrata ed in maggiore sintonia con i principi ispiratori e valoriali contenuti nella Carta che è molto amata degli italiani e che contiene gli opportuni equilibri necessari per regolare il potere tra le diverse istituzioni dello stato senza i quali non può reggersi un sistema democratico. Una riforma che avrebbe potuto essere davvero un utile contributo per rendere l’assetto istituzionale del Paese più snello ed efficiente e che non è stato possibile realizzare anche perché i proponenti hanno inteso privilegiare, per loro tornaconto propagandistico, la messa in campo di una riforma purchessia, anche violentando con forzature inusitate lo stesso parlamento, anziché far prevalere l’interesse del paese. Una occasione perduta per responsabilità di chi ha preteso di riuscire a coartare prima il parlamento e poi il paese incamerando un ipotetico successo elettorale sul quale costruire il consolidamento del proprio potere.
non si è voluto fare tutto il possibile per trovare le larghe convergenze necessarie per dare al paese una utile riforma non condivisa e che si sarebbe dovuto lavorare con sufficiente ponderazione per renderla utile al paese se non si avesse avuto la fretta di confezionarla ad uso e consumo della propaganda di parte imponendola con non inusitate forzature nei confronti dello stesso parlamento, hanno voluto esprimere il malessere di un popolo che sta soffrendo da anni una crisi della quale non si vede ancora la via d’uscita e tutta la sfiducia nei confronti di un governo sul quale aveva riposto speranze e che ha dimostrato di non essere in grado di dare risposte conseguenti per fronteggiare le emergenze contingenti entro un disegno programmatico rilancio del futuro del paese.in un quadro di rilancio armonico e programmatoorganico dal quale non fuoriescono risposte adeguate per affrontare e dare soluzioni ai nodi scorsoi che stanno strozzando il paese. La politica degli annunci di ripresa che nessuno vede e dell’elargizione di bonus che avrebbero voluto si convertissero in consensi non ha pagato anzi comincia a suscitare indignazione.
La corposa partecipazione ha evidentemente esaltato il valore del risultato che ha consentito di individuare con assoluta evidenza come la vittoria con largo margine del no che conferma la costituzione in essere rappresenti il suo attaccamento ad un documento espressione che ha sancito l’atto di nascita di una stagione politica che ha ridato futuro ad un popolo che aveva riconquistato con duri sacrifici e tributi di sangue la libertà dopo un nero ventennio.
Il popolo è tornato alle urne cogliendo il valore della posta in gioco. La Costituzione è amata dagli italiani che sanno quanto la sua conquista sia costata in sacrifici e vite umane ed hanno consapevolezza di quanto sia necessario riflettere per evitare che eventuali modifiche, alterino gli equilibri in essa condensati. È un bene che abbiano sentito il dovere ed il bisogno di prendere parte a quel referendum ed è doveroso che le diverse forze in campo ne prendano atto interpretando correttamente il suo pronunciamento.
Quel pronunciamento ha chiaramente sancito che si deve andar cauti quando di vuol cambiare la Carta Costituzionale. Lo si può fare ma con ponderazione essendo consapevoli che per trovare i giusti equilibri che essa deve garantire si deve avere una visione generale dell’assetto democratico che deve regolare dentro il quale s’intende armonizzare la correzione, in secondo luogo essa, a seguito di una riflessione ampia e democratica alla quale devono concorrere le diverse forze in campo può essere varata ricercando, senza inopportune forzature, il consenso più ampio.
S’è detto che il voto non ha indicato un vincitore ed è vero se si considera che alla vittoria del no hanno concorso tante forze assolutamente eterogenee e spesso con motivazioni diametralmente opposte ma questo dato inoppugnabile non può consentire ai fautori del si di ritenere che loro possano partire da quel 40% per continuare a perseverare nella loro azione conviti di avere il potere di ordinare il futuro.
È noto che anche quel 40% non è del tutto omogeneo e che il PD parte preponderante di esso non è attualmente e può finire per non essere anche nel prossimo futuro partito di maggioranza relativa nel paese.
È evidente che quei no contenevano anche il malessere per le sofferenze determinate da una crisi troppo lunga e che, oltre a sembrar destinata a non finir mai, non intravvede nelle scelte del governo che propone quella riforma la possibilità di uscirne.
L’ottimismo e la baldanza con la quale i promotori di quella riforma costituzionale infioravano il si di cose fatte da questo governo, di promesse di bonus contenuti nella legge di bilancio in discussione, di annunci di ripresa in essere che nessuno vedeva, hanno convinto gli elettori che bisognava approfittare di questa occasione non solo per conservare un testo costituzionale che nonostante i limiti rappresenta un alto compromesso i cui equilibri hanno garantito, con alti e bassi, un settantennio di pace, di progresso e di libertà ma, anche per indicare ai governanti del momento che il loro ottimismo era fuori luogo e che le loro cure non erano affatto efficaci.
lo loro cure non erano efficaci in una armonica convivenza civile costituzionale che i padri costituenti seppero costruire ricercando alti punti di convergenza tra le diverse componenti di una assemblea costituente che gettò le base portanti di questa nostra democrazia, nonostante i suoi limiti, ha garantito all’Italia, pur con alti e bassi, un settantennio di pace, di progresso e di convivenza civile nella libertà. È del tutto evidente che ogn’uno ha calato nell’urna il suo si o il suo no convinto di contribuire a dare un futuro migliore al paese ed è altrettanto evidente che quel sostanzioso no finale deve essere considerato indicativo e partire da un riconfermato assetto istituzionale e costituzionale per il volere di un popolo che così facendo indica un percorso sul quale si deve costruire il suo rinnovato futuro.delle promesse consenute in questa finanziaria ed è proprio la consapevolezza di queste difficoltà a superarla che hanno convinto molti elettori che la baldanza con la quale si è espressa la campagna per il si da parte dei suoi sostenitori e soprattutto dello stesso Presidente del Consiglio Renzi era mal riposta e che quella propaganda forsennata e invadente era messa in campo per nascondere una ben altra realtà da quella che veniva raccontata.

della quale non si riesce ancora a vedere la fine e tutt’altro che in via di superamento preferito optato per la conferma del testo in essere riflettendo nel voto sentito il bisogno di farsi sentire ed è importante che abbia sentito il dovere di farlo esprimersi lo ha fatto sulla legge delle leggi che regolo la vita democratica del paese e che garantisce la livertà di tuttinel constatare che c’è stata una generale ma, tutti hanno salutato coralmente il risultato di una partecipazione al voto si è anche convinti che a vincere sia stato il popolo degli elettori che è tornato numeroso alle urne confermando a larga maggioranza il testo della carta costituzionale che nonostante i limiti ha consentito all’Italia, pur con alterne fasi di avanzamenti e frenate, di progredire in pace no che è tornato, dopo le forti diserzioni verificatesi nelle ultime tornate elettorali, numeroso alle urne. dove ha espresso a larga maggioranza la sua volontà di confermare una carta costituzionale che i padri costituenti seppero costruire ricercando alti punti di convergenza tra le diverse componenti di una assemblea costituente che gettò le base portanti di questa nostra democrazia, nonostante i suoi limiti, ha garantito all’Italia, pur con alti e bassi, un settantennio di pace, di progresso e di convivenza civile nella libertà. È del tutto evidente che ogn’uno ha calato nell’urna il suo si o il suo no convinto di contribuire a dare un futuro migliore al paese ed è altrettanto evidente che quel sostanzioso no finale deve essere considerato indicativo e partire da un riconfermato assetto istituzionale e costituzionale per il volere di un popolo che così facendo indica un percorso sul quale si deve costruire il suo rinnovato futuro.
ha sancito che il popolo italiano è convito che con esso si può dare un nuovo futuro al paese. Ha respinto quelle sostanziose modifiche con un margine così marcato anche per la preoccupazione che quelle modifiche avrebbero potuto paura potesse risultare incrinato da rimaneggiamenti raffazzonati e rinsecchimenti partecipativi non condivisi o comunque poco convincenti. ai seggi celebrando con la partecipazione il suo rinnovato impegno a rivitalizzare la nostra democrazia e lo ha fatto difendendo una carta costituzionale che con i suoi limiti ha garantito la democrazia ed il progresso economico e sociale nella libertà per un settantennio e sulla quale si conta per ritrovare il giusto percorso per darsi un ulteriore futuro. lo ha vinto. Il risultato di questo referendum indica chiaramente che c’è un popolo di sinistra disperso che si è opposto al renzismo e che è risultato determinante per fermare quel supposto riformismo contenuto in un rimaneggiamento raffazzonato della carta costituzionale e che combinato con quella riforma elettorale (italicum) imposta per consentire a chi ne sarebbe diventato vincitore il domatore del futuro parlamento. Se il disegno si fosse completato avremmo definitivamente cambiato la fisionomia della nostra democrazia parlamentare mettendo totalmente nelle mani del domatore

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