RIETI – Adversarum impetus rerum, viri fortis non vertit animum. Questa affermazione di Seneca, tratta dal De Providentia, fotografa perfettamente la figura di Roberto Pietropaoli: “L’impeto delle avversità non cambia l’animo dell’uomo forte!”. Chi conosce Roberto “da sempre” è perfettamente consapevole delle difficoltà che questo straordinario personaggio ha subito dacché è venuto al mondo. “Il mio braccio – afferma con schiettezza e senza falsi pudori Pietropaoli – ne parlo con tutti, con serenità. Sono nato così, con un braccio, il sinistro, molto più corto e piccolo del normale. Ebbene, posso ribadire oggi, con fierezza, che quel braccio è stata la mia forza, la mia fortuna”. Roberto Pietropaoli ha 55 anni ed è un uomo affermato. Intrapresa l’attività di commercialista e, poi, di consulente aziendale, egli da 20 anni è titolare di più studi professionali: uno a Milano, due a Rieti ed uno a Ciampino. Probabilmente così non sarebbe stato se Roberto non avesse avuto quell’handicap fisico che, invece, è stata la sua vitalità. “Quel braccio ha forgiato il mio carattere, mi ha temprato, mi ha costretto ad attingere altrove forze fisiche che non potevo trovare nell’arto menomato. Così ho imparato a tirare calci, praticando le arti marziali. Ho voluto mettermi alla prova, sapendo che, a livello fisico, non avrei avuto un futuro lavorativo a livello fisico. Dovevo puntare su altro: intelligenza, cultura, cervello, dovevo puntare sulla mia testa per condurre una vita migliore. E’ stata una competizione con me stesso perché dovevo dimostrare di essere più bravo, più capace, nonostante quel braccio: ma non al mondo, a Roberto Pietropaoli medesimo! Devo dire che sono stato bravo ed anche fortunato perché ho raggiunto i risultati che mi ero prefissato. Quello che la vita mi ha tolto me lo ha ridato in termini di fortuna: ho avuto famiglie meravigliose, quella d’origine con i miei splendidi genitori e quella odierna con mia moglie Antonella e con Giulia che è la figlia di Antonella, ma che è come fosse mia figlia perché, diceva mia madre, i figli non sono di chi li mette al mondo, ma di chi li cresce. Ed io, Giulia, l’ho cresciuta proprio come una figlia”. Oggi Roberto Pietropaoli è un professionista affermato, è il presidente del Real Rieti, straordinario uomo di sport, amante del calcio e della pallacanestro (soprattutto), in giovane età è stato anche un ottimo atleta. Ciò a dispetto di quel braccio o “braccetto” in ragione del quale nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul Roberto-calciatore come sul Roberto-cestista e invece….. Chi ne ha condiviso gli ardori e le passioni giovanili lo rammenta straordinario uomo di centrocampo con il Concerviano Calcio o, addirittura, incontenibile giocatore di basket in virtù di una forza fisica e di una tempra senza eguali che gli consentivano di sopperire magicamente a quel difetto congenito. Il suo amore per lo sport non poteva non caratterizzare l’esistenza di Roberto: ieri come protagonista sul campo, oggi dietro alla scrivania, quale presidente del Real Rieti. Roberto, come nasce la tua passione per il futsal? “Anni or sono, mio cugino Giorgio aveva fatto la serie D e l’aveva vinta così, approdato in C2, Giorgio chiese il mio sostegno. Mi sono dedicato, ho cominciato a seguire la squadra, ma ho constatato che vi erano evidenti difficoltà gestionali perché facevano la C2 a pizza e fichi. Consensualmente ho rilevato la società e mi sono ripromesso di arrivare in serie A in 4 anni: tanto è stato. Oggi il Real Rieti è diventata una cosa seria, un’azienda che richiede impegno, lavoro, fatica. Ma sono felice ed entusiasta di esserne alla guida”. Qual è l’obiettivo del Real Rieti e di Roberto Pietropaoli per la prossima stagione? “Voglio vincere lo scudetto! O, meglio, ho allestito una squadra che può puntare all’obiettivo principe. Vedremo”. Quali sono gli investimenti che necessitano nel futsal, per una formazione di vertice qual è ormai il Real Rieti? “Gli investimenti sono gli stessi dello scorso anno, gli stessi che, grosso modo, necessitano per la disputa della serie A2 di Basket”. Nonostante tutti gli sforzi, tuoi come di Riccardo Curci con il Rieti FC, il basket rimane di gran lunga lo sport cittadino per antonomasia: questo ti crea dei problemi? “Questo è vero, ma rimanendo dentro alle nostre mura perché, uscendo da Porta D’Arce, non c’è paragone. Il Real Rieti ed il futsal, oggi, sono una realtà di vertice, in Italia, ma anche in Europa. Il tecnico che ho da poco ingaggiato, il brasiliano Duda, è un po’ il Mourinho del calcio a 5. Ebbene lui ha preferito Rieti ad altre piazze, anche europee, proprio in virtù della fama che abbiamo raggiunto. In Spagna, non ho difficoltà a dirlo, sono famoso: c’è una fotografia, sul quotidiano spagnolo La Marca, che mi ritrae al fianco di Duda. Poi vogliamo parlare di audience televisiva? Le nostre gare sono state irradiate da Sport Italia e da Sky, abbiamo raggiunto uno share anche del 9%: si tratta di numeri impressionanti che la NPC ed il basket, allo stato attuale, mai potranno conseguire”. Veniamo alla tua passione più vera ed autentica: il basket! “La palla a spicchi ce l’ho nel sangue, come ogni buon reatino che abbia vissuto l’epopea della grande pallacanestro tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80. Oggi inorridisco a vedere certi giocatori di livello tecnico infimo e, più ancora, dinanzi a determinate richieste d’ingaggio”. Allora perché il calcio a 5 e non il basket? “Il basket, oggi, è di Peppe Cattani che è un mio amico da 50 anni. Nutro grande rispetto per lui, per i suoi sforzi, per il suo impegno e questa è la ragione che mi impedisce di venire a vedere le partite al PalaSojourner. A Rieti, poi, il basket è una religione e con le religioni non si scherza”. Il basket è nei tuoi progetti di presidente? “Ovviamente si, ma soltanto se Cattani decidesse di rinunziare, allora sarei disposto a fare la mia parte. Non so dire a quali livelli porterei la Rieti dei canestri, come la chiami tu. In ogni caso, con il budget disponibile e gli incassi del basket che sono esorbitanti rispetto al futsal, sono certo che garantirei una serie A2 di vertice e, anzi, credo che sarei in grado di lottare per vincere il campionato”. Giochiamo al Fantabasket e lavoriamo di pura fantasia: quale sarebbe il tuo coach ideale? Quale il quintetto dei sogni per vincere la serie A2? “In panchina metterei il mio amico Giampaolo Di Lorenzo (buon playmaker degli anni ’90, ndr). Il quintetto ideale? Palermo, Rosselli, Renzi, i due americani Jefferson di Cantù e Mbayè che stava alla Virtus Bologna e poi a Brindisi”. La realtà economica e sociale di Rieti e provincia non consente di avere più di una realtà sportiva professionistica mentre oggi, di fatto, ve ne sono tre: il Calcio Rieti FC, il Real Rieti e la NPC. Non sarebbe opportuno riunire le risorse dei vari Curci, Cattani e Pietropaoli e puntare a realizzare qualche cosa di veramente grande, piuttosto che disperdere il patrimonio in più entità? “Rieti ha una mentalità provinciale, oserei definirla: gretta. In passato ho tentato di percorrere la via delle sinergie, ho stimolato in tal senso, ma sono stato etichettato come: “carbonaro”. Oggi la vedo dura, le posizioni che si sono create tra queste grandi realtà sportive sono ben identificate ed è difficile, per ciascuno di noi, fare un passo indietro. Però io sono sempre disponibile e, in presenza di un progetto serio, sarei in prima linea”. Roberto Pietropaoli è stato anche un ottimo opinionista e cronista d’assalto: in quella che fu Radio Onda Verde con Andrea Cacciagrano, Federico Bertoni, Francesco Saverio Pasquetti e, sul finire degli anni ’90, con Paolo Di Lorenzo e Valerio Pasquetti a Tele Sabina 2000. Qual è il tuo ricordo di quelle esperienze? “E’ stato un tempo bellissimo, il più travolgente che io ricordi. Si faceva tutto per pura passione e non per i soldi”. Concludiamo: quale il pregio e quale il difetto di Roberto Pietropaoli? “Il pregio? Sono tignoso, coraggioso e perseverante all’ennesima potenza. Il difetto? La sincerità, se questa può considerarsi un difetto. La diplomazia non rientra nel mio modo di essere, nella mia educazione, ma non cambio. Roberto Pietropaoli, che è il figlio di uno “scarparo” ha fatto troppa strada in questa città e, per le sue origini, non è ben visto. Pazienza, ormai me ne sono fatto una ragione e tiro avanti per la mia strada”. (Valerio Pasquetti)

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