La storia dello stabilimento Ritel, fu Alcatel e ancor prima Telettra, rappresenta il più eclatante esempio di ciò che noi reatini siamo: e cioè un paesotto governato da poche famiglie e succube di Roma.
I nostri zii si accontentavano del postarello alla Usl, alla guida della Sama oppure in Comune e in Provincia. Alcuni miei coetanei hanno saputo fare addirittura peggio e girano tra Palazzo Dosi e Palazzo del Municipio inseguendo contratti Lsu, Lpu, borse lavoro, schiavizzati dalla politica del clientelismo. Il rischio, il progetto, le idee, sono termini quasi sconosciuti. Si preferiscono le assunzioni all’Azienda Speciale della Camera di Commercio, dove tutto sarà stato svolto sicuramente in piena regola, non ho dubbi, ma è il contorno che è emerso che ci mortifica.
Per gli ingenui come me la Camera di Commercio è vista come la “casa di tutte le imprese”, una sorta di guida e di sintesi al tempo stesso, capace di mettere insieme i progetti e gli investimenti di tutti quegli imprenditori che poi ritroviamo in Federlazio, Unindustria, Cna, Confcommercio ecc. E invece la “grande crisi” ha messo a nudo il bluff. Camera di Commercio e compagni sono troppo distratti dall’effimero, dai convegni, dalla politica e poco inclini e fare impresa. Il problema non è solo se una fabbrica chiude ma che nessuno pensi a come sostituirla.
Quando Alcatel ha deciso di trasformare lo storico stabilimento in Ritel ha firmato la fine di una storia. Chi in questi anni ha raccontato altro ha mistificato la realtà. La retromarcia dei francesi non era un allargamento all’ingresso dell’imprenditoria italiana nel gruppo ma la via della dismissione, della probabile fuga dopo aver usato per anni i finanziamenti pubblici italiani e le benevolenze reatine.
“Oggi dovremmo dire, avevamo ragione noi, ma è una magra consolazione – ha commentato Alberto Paolucci, lavoratore della fabbrica e segretario della Uil – quella firma tanto voluta dal presidente della Provincia Melilli e non osteggiata adeguatamente dal sen. Cicolani, fu accolta con entusiasmo dalla Cgil e da una parte della Cisl, oggi si rimangiano le mani. Lo scopo di Alcatel era quello di mandarci a chiudere, con la scusa dell’ingresso dei nuovi, del 10% di Finmeccanica, dell’entusiasmo della Sinistra. Era e si è rivelata un’autentica bufala. In modo inizialmente soft ci hanno mandato al massacro. La cordata dei reatini era debolissima e le famose carte d’identità magnetiche non sono mai entrate in produzione. In questi anni abbiamo retto perché ci difendeva un certo Gianni Letta. Oggi chi ci salverà?”.
Da un anno i cancelli sono chiusi e quello che è rimasto dell’Alcatel sembra avere i giorni contati. I lavoratori del laboratorio ricerca dell’Alcatel-Lucent e Coreat sono preoccupati per quanto sta avvenendo negli altri centri in Italia. Infatti, dopo la chiusura del centro ricerca di Bari e quella ormai imminente di Genova, altri interventi sono previsti per Vimercate, mentre si diffonde sempre più il timore che fra non molto anche Rieti possa essere interessata ad un processo di razionalizzazione.
Sulla vicenda delle razionalizzazioni in corso da parte di Alcatel-Lucent il Ministero dello Sviluppo Economico ha chiesto alla multinazionale di discuterne il 24 gennaio scorso. Questo articolo l’ho sto ultimando il 21 gennaio e non so cosa accadrà in seguito. I circa duecentodieci lavoratori, ormai da quasi un anno in cassa integrazione, cominciano a
perdere le residue speranze per una conclusione positiva della lunga vertenza. Ad aprile scade la cassa integrazione e l’assessore alle Politiche del lavoro della Regione Lazio, Mariella Zezza, supportata anche dall’assessore Gabriella Sentinelli, sta cercando di impegnare Ministero e Finmeccanica.
Una lettera urgente è stata scritta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’attenzione del sottosegretario Catricalà, affinché la convocazione di tutti i soggetti coinvolti avvenga appena possibile. I lavoratori ora si aggrappano alla tenacia della Presidente Polverini. Io sto con gli operai e con le loro famiglie e non con i bugiardi. A buon intenditor poche parole.
0 commenti